martedì 2 settembre 2008

La storia che interessa e diverte (parte IV)

La cucina del Rinascimento con qualche piatto innovativo resta fedele ai presupposti d’ispirazione medioevale. Permangono le costrizioni religiose, cioè l'astensione dalle carni in alcuni giorni della settimana e durante il periodo della Quaresima, l’uso delle spezie, il grande successo del sapore agrodolce, la predilezione per le torte e i pasticci in crosta nei quali tuttavia non si mettono più gli animali interi ma le loro carni disossate.
Non troviamo nelle ricette nessuna testimonianza di integrazione delle piante americane come il pomodoro, anche se Liguria e Catalogna furono le prime regioni ad introdurlo nel proprio regime alimentare, come non troviamo la zucca, il mais, mentre il tacchino viene adottato molto rapidamente dai cuochi del Cinquecento che ne fanno un arrosto di prima qualità in sostituzione dell’oca.
Anche la patata non compariva tra i cibi di uso comune. Un certo Vincenzo Virginio, nato a Cuneo nel 1752, nel trattato da lui stesso compilato Coltivazione della patata ovverossia dei pomi di terra, volgarmente detti tartufi, descrisse la necessità di incrementare la coltivazione della patata, alla cui diffusione dedicò tutta la vita, consapevole di come un suo ampio utilizzo potesse far fronte ai bisogni alimentari delle popolazioni più povere. Per sconfiggere questa diffidenza, confezionò i tuberi in preziose scatole decorate e le donò alle signore torinesi, che solo nei primi anni del 1800 videro diffondersi la patata sulle bancarelle dei loro mercati. In precarie condizioni finanziarie, da ricco possidente Virgilio dovette ripiegare sull'insegnamento all’Università di Zara, morendo in completa povertà nel maggio del 1830.

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